La misurazione del grano avveniva
nell’aia prima de
“S’INCUNZA”;
col grano raccolto erano pagati
“SOS
MESSADORES”,
i massai, i servi e, talvolta, l’affitto delle terre, in particolare se il
contadino aveva stipulato col padrone un contratto di mezzadria, chiamato a
“MES’A
PARE”.
Particolarmente delicato era il raccolto del grano e dell’orzo quando veniva
sottoposto al pagamento delle decime, o in occasione dei cosiddetti “scrutini
del grano” finalizzati al prelievo fiscale, o quando era sottoposto a drastiche
requisizioni nel periodo fra le due guerre mondiali.
Con la sporta de mesurai o con
“SU
CUBEDDU”
si attingeva il cereale dalla massa e si versava nella
“MESURA”
e da questa veniva messa nei sacchi, venivano caricati nel carro e portati nei
granai dei diversi destinatari. A differenza dei legumi e di altri aridi
misurati a
“CUCCURU”,
i cereali venivano misurati a
“RASU”
utilizzando una apposita tavoletta-livello sia che avvenisse nelle aie sia nei
granai domestici.
Gli aridi in genere venivano
misurati in litri, utilizzando contenitori di legno o di lamiera di ferro:
“litru”,
1 kg circa, poco usato perché troppo piccolo;
“imbudu”,
3 litri: 3 kg circa, può
essere di latta, di legno o anche di sughero;
“kuartucciu”,
6 litri: corrispondente a due
imbudos;
“kuartu”,
12 litri: corrispondente a quattro moi;
“mesuredda”,
5 litri: 4 Kg circa;
“mesura”,
20 litri circa: identica per forma e materia a “SA
MESUREDDA”;
“cubeddu”, 20 litri circa:
a forma di botticella, può essere di lamiera oppure di legno a doghe;
“cuarra”, 25 litri: 20 Kg
circa; può essere di ferro o di legno;
“moi”,
50 litri: 40 Kg circa; di
legno, a piramide tronca con base rettangolare.
La misurazione poteva essere fatta
a “CORBULA”
cestino di fieno o di asfodelo, che corrispondeva a 25 litri circa e 20 kg;
fungeva da misura anche la cassa di legno,
“CAXIA”,
usata per conservare piccole quantità di grano. Nel sistema tradizionale le
stesse unità di misura erano usate per gli aridi e per la terra.
Nel passato più lontano, la terra
era anche misurata
“A
FUNE”,
cioè con l’ausilio di una corda.
Ancora qualche decennio fa gli
anziani di Ozieri ricordavano che alla misurazione a fune ricorrevano i grossi
affittuari quando subaffittavano in piccoli lotti la terra dei latifondi locali.
Prima di giungere sulle nostre
tavole sotto forma di pane, pasta o dolci, il grano deve subire un complesso
processo di trasformazioni. Fino alla metà del 1900, quando si diffondono mulini
e panifici industriali, le operazioni di pulitura e macinazione del grano
destinata “A
SA COTTA ‘E SU PANE”, che
poteva essere settimanale, mensile o trimestrale, a seconda del tipo di pane che
si voleva ottenere.
Dopo la sommaria pulitura,
nell’aia, il grano subiva in casa una seconda e più accurata cernita, che
secondo Giuseppe Cossu, richiedeva dieci ore per starello.
Il grano veniva poi lavato; le
tecniche potevano essere diverse:
“SAMUNARE
SU TRIGU”
(comporta una vera e propria lavatura con una macchina munita di setacci usata
per separare le spighe da impurezze o per classificare le varie parti di un
materiale solido;
Fache s’abba a su trigu
(si bagnava il grano
contenuto in “SA
CORBULA”;
Entrambi questi tipi di operazione
richiedevano una ben controllata asciugatura.
La
molitura
Fin da tempi remoti, l’uomo si è
sforzato di applicare nuove fonti di energia: manuale, animale, idraulica,
eolica ed elettrica.
La macina a sella o a schiena
d’asino, è costituita da una pietra piatta sulla quale si sfrega una pietra più
piccola, lunga e stretta.
(Qualcuno, in Sardegna ricorda di
averne riscoperto l’uso durante la 2º guerra Mondiale quando, trascurando la
legge che imponeva a ciascuna famiglia una determinata “razione” di grano, si
macinava di nascosto il grano sottratto all’ammasso.
La macina manuale è stata
riutilizzata in Sardegna in tempo di guerra; La mola domestica “Romana” a
clessidra, azionata a mano, è una variante in taglia ridotta della mola a
clessidra mossa dall’asino e destinata alla produzione industriale di farina.
Nella casa contadina la mola
asinaria era solitamente alloggiata in un angolo della cucina, e costituiva uno
dei pezzi più importanti del corredo della sposa.
Sa mola sarda è realizzata con
materiali diversi: consta di due palmenti, uno superiore mobile,
sa tunica(la
tunica), a forma tronco- conica concava, con un largo foro al vertice per il
passaggio del cereale, e un palmento inferiore fisso, “su
coru” (il cuore), a forma
conico- convessa, che poggia su una tinozza di legno
“cubedda”
o di pietra “laccu”.
Dalla tramoggia
“maiolu”
sospesa sopra il palmento superiore discende il grano, che macinato va a
depositarsi nella tinozza sottostante.
Il mulino a cavallo si diffonde
verosimilmente fra l’Ottocento e Novecento, nel ceto dei ricchi proprietari.
Ha due palmenti di pietra e un
dispositivo complesso dotato di ruota dentata a lanterna.
Quando il cavallo fa girare la
ruota dentata gira anche la lanterna, che ne moltiplica i giri, facendo girare
il palmento superiore su quello inferiore.
L’introduzione in Sardegna del
mulino idraulico risale probabilmente all’epoca dei Giudicati.
I mulini ad acqua sono rimasti in
funzione fino alla metà del Novecento, tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta
si diffondono i mulini elettrici a cilindri, che in poco tempo soppiantarono
definitivamente i sistemi tradizionali.
Terminati i lavori nell’aia, e
giunta finalmente l’ora de “s’incunza”
la famiglia contadina
doveva provvedere a conservare le scorte di cereali in un ambiente asciutto e
areato, preservandole dalle insidie rappresentate dall’umidità, dagli insetti e
dai roditori.
Se opportunamente conservato in
locali bene areati fino a settembre dopo il primo anno il grano poteva subire
un vantaggioso aumento di volume e poteva durare anche diversi anni a
differenza dell’orzo.
E' accertato che in epoca romana
anche in Sardegna, come altrove, la giara d’argilla,
“dollium”,
fosse destinata alla conservazione degli aridi oltre che dei liquidi.
Alla conservazione dei cereali,
soprattutto quelli destinati alla panificazione domestica, erano comunque
destinati nel passato speciali contenitori:
“la
caxia”,
la cassa di legno solitamente portata in dote dalla sposa,
“s’orriu”,
la bugnola di canne intrecciate.
S’orriu, o
“cadinu
de pedra”,
consiste in una stuoia di
canne arrotolata a guisa di cilindro sopra un basamento di legno.
Sono prodotte nel Campidano di
Milis e di Oristano, sono portate in tutta l’isola dai venditori di aranci.
Nelle case dei contadini ricchi e
benestanti c’era un posto riservato ai cereali dove trovavano condizioni più
adeguate per una lunga conservazione. Comunque nelle case c’erano anche dei topi
e i contadini per prevenire avevano sempre almeno un gatto in casa.